Sul Banco degli Accusati. 1949 Il Processo Intentato dal Senatore D’Onofrio ai reduci di Russia negli Atti e negli Articoli dell’Unità

22.00

AA.VV.

La vicenda presa in esame in questo volume – una querela per diffamazione a mezzo stampa – sarebbe in sé ben piccola cosa se l’improvvido comportamento del querelante senatore D’Onofrio non avesse fatto emergere situazioni, comportamenti e giudizi che, sul finire degli anni Quaranta, erano a dir poco tabù. Era da molto tempo che il PCI veicolava, purtroppo con successo, il concetto che comunismo, democrazia e antifascismo fossero perfetti sinonimi e che pertanto ogni accusa rivolta al partito o ai suoi membri fosse ipso “fascista” e indegna della “nuova Italia nata dalla resistenza”… Considerando il clamoroso insuccesso processuale vi è chi ha pensato che il D’Onofrio, presentando il suo esposto a ridosso delle elezioni politiche dell’aprile 1948, ritenesse di poter contare, dopo la vittoria elettorale che sembrava certa, su un tribunale se non proprio “del popolo”, quantomeno sufficientemente addomesticato. Forse fu così, ma è anche possibile che il carattere impetuoso del “paladino dei lavoratori” lo abbia mal consigliato o che il nostro abbia obbedito ad un ordine del partito visto che i “Reduci” nella loro pubblicazione additavano al pubblico ludibrio non solo D’Onofrio, ma anche Togliatti, Robotti ed altri appartenenti alla nomenklatura. Le affermazioni di D’Onofrio, dei suoi avvocati e dei testi da loro addotti hanno il sapore di menzogne preconfezionate e imparate diligentemente a memoria. Per confutarle in blocco è sufficiente raffrontare il numero dei prigionieri italiani morti in Russia a quello totale degli internati, numero che, pur comparendo in modo sostanzialmente corretto durante il dibattimento, era stato respinto sdegnosamente dal D’Onofrio e dai suoi legali.

Brossura, 21 x 30 cm. pag. 124

Stampato nel 2024 da Effepi

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La vicenda presa in esame in questo volume – una querela per diffamazione a mezzo stampa – sarebbe in sé ben piccola cosa se l’improvvido comportamento del querelante senatore D’Onofrio non avesse fatto emergere situazioni, comportamenti e giudizi che, sul finire degli anni Quaranta, erano a dir poco tabù. Era da molto tempo che il PCI veicolava, purtroppo con successo, il concetto che comunismo, democrazia e antifascismo fossero perfetti sinonimi e che pertanto ogni accusa rivolta al partito o ai suoi membri fosse ipso “fascista” e indegna della “nuova Italia nata dalla resistenza”… Considerando il clamoroso insuccesso processuale vi è chi ha pensato che il D’Onofrio, presentando il suo esposto a ridosso delle elezioni politiche dell’aprile 1948, ritenesse di poter contare, dopo la vittoria elettorale che sembrava certa, su un tribunale se non proprio “del popolo”, quantomeno sufficientemente addomesticato. Forse fu così, ma è anche possibile che il carattere impetuoso del “paladino dei lavoratori” lo abbia mal consigliato o che il nostro abbia obbedito ad un ordine del partito visto che i “Reduci” nella loro pubblicazione additavano al pubblico ludibrio non solo D’Onofrio, ma anche Togliatti, Robotti ed altri appartenenti alla nomenklatura. Le affermazioni di D’Onofrio, dei suoi avvocati e dei testi da loro addotti hanno il sapore di menzogne preconfezionate e imparate diligentemente a memoria. Per confutarle in blocco è sufficiente raffrontare il numero dei prigionieri italiani morti in Russia a quello totale degli internati, numero che, pur comparendo in modo sostanzialmente corretto durante il dibattimento, era stato respinto sdegnosamente dal D’Onofrio e dai suoi legali.

Brossura, 21 x 30 cm. pag. 124

Stampato nel 2024 da Effepi

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